Quando il lavoro nel non profit diventa frontiera: il Myanmar tra emergenza e solidarietà

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Il Myanmar è oggi teatro di una delle peggiori crisi umanitarie del nostro tempo. Un Paese già provato da una lunga e dolorosa guerra civile – con oltre 53.000 vittime e più di 3 milioni di sfollati interni – è stato recentemente colpito da un devastante terremoto di magnitudo 7.7, che ha causato oltre 1.700 morti, 3.400 feriti e centinaia di dispersi. A pagare il prezzo più alto, come sempre, sono i civili: donne, bambini, famiglie già vulnerabili, improvvisamente private di tutto.

E in mezzo a questo scenario complesso e drammatico, ci sono loro: le operatrici e gli operatori del non profit. Donne e uomini che, spesso lontani dai riflettori, decidono ogni giorno di mettersi al servizio degli altri. In Myanmar, come in tanti altri contesti difficili del mondo, il lavoro nel Terzo Settore assume una valenza che va ben oltre il mestiere: è una vocazione, una scelta radicale di impegno umano e civile.

ONG internazionali e italiane: presenza concreta sul campo

Sono numerose le organizzazioni non governative che stanno operando sul terreno, fornendo assistenza umanitaria, supporto medico, cibo, beni di prima necessità e rifugio a centinaia di migliaia di persone colpite dalla crisi. E molte di queste ONG hanno sede o rappresentanza anche in Italia.

Tra queste c’è UNICEF Italia, impegnata a garantire protezione e accesso all’istruzione per i minori; UNHCR Italia, che lavora per tutelare rifugiati e sfollati, in particolare della minoranza Rohingya; Medici Senza Frontiere, attiva con team medici in aree ad alto rischio; Save the Children Italia, con una presenza stabile nel Paese dal 1995; e ActionAid Italia, che distribuisce beni essenziali e supporto economico alle famiglie colpite.

A queste si aggiungono importanti realtà italiane del non profit che operano in Myanmar da anni: Fondazione AVSI, CESVI, Medacross, Don Carlo Gnocchi Onlus, Caritas Italiana, Aiutare Senza Confini (Helfen ohne Grenzen), Fondazione Italia Birmania. Insieme, e AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. Queste organizzazioni portano avanti progetti di educazione, salute, sviluppo locale e diritti umani, costruendo una presenza che nel tempo ha guadagnato fiducia e radicamento nelle comunità locali.

Il ruolo chiave delle persone

Dietro ogni progetto, dietro ogni carico di aiuti umanitari, ci sono le persone. I professionisti e le professioniste del non profit che, anche in contesti ad altissimo rischio, continuano a garantire la presenza e la vicinanza. Infermieri, logisti, psicologi, mediatori culturali, esperti in gestione di emergenze. Sono loro i veri protagonisti di questa storia collettiva di resistenza e solidarietà.

Queste persone non operano per caso. Sono formate, preparate, motivate. E spesso passano da portali come Job4Good, dove trovano offerte di lavoro nel Terzo Settore, ma anche una comunità che riconosce il valore della loro scelta.

Quando il lavoro è anche missione

La crisi in Myanmar ci ricorda quanto fragile sia l’equilibrio di intere regioni del mondo. Ma ci mostra anche la potenza dell’agire collettivo, quando è mosso da empatia, responsabilità e competenza. In un tempo in cui il lavoro è spesso svuotato di senso, il non profit continua a ricordarci che esistono mestieri che cambiano vite – anche a costo della propria sicurezza.

Cosa possiamo fare noi, da qui

Anche da lontano possiamo essere parte attiva di questa risposta. Come cittadini, possiamo scegliere di sostenere economicamente le ONG attive in Myanmar. Come professionisti, possiamo mettere le nostre competenze al servizio di queste realtà. Come comunicatori, possiamo contribuire a raccontare queste storie, per contrastare l’indifferenza e alimentare una cultura della solidarietà consapevole.

Il Myanmar è lontano, ma i suoi operatori non sono soli. Il mondo del non profit – con tutte le sue articolazioni – c’è. E continuerà a esserci, finché ce ne sarà bisogno.

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