L’Intelligenza Artificiale migliora davvero la raccolta fondi? Le risposte da Sos Mediterranee e Dynamo Camp

IA-fundraising

Che l’intelligenza artificiale stia trasformando il mondo del lavoro non è più una novità. Ma cosa succede quando l’IA entra nella raccolta fondi del Terzo Settore? È possibile che una tecnologia così complessa migliori la relazione con i donatori, l’efficacia delle campagne e persino il benessere dei beneficiari?
La risposta è sì, ma solo se l’approccio è guidato da strategia, visione e cura.

Lo dimostrano due casi italiani raccontati oggi con lucidità in un articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore (15 maggio 2025, a firma di Alessia Maccaferri): Sos Mediterranee e Fondazione Dynamo Camp. Due realtà molto diverse, accomunate però da una stessa intuizione: l’intelligenza artificiale non è un gadget, ma uno strumento operativo per migliorare impatto e sostenibilità.

Archetipi e personalizzazione: il caso Sos Mediterranee

Sos Mediterranee, da anni attiva nel soccorso nel Mar Mediterraneo, ha deciso di esplorare la comunicazione personalizzata con il supporto di Skillando, una non profit specializzata in digitale per il Terzo Settore.
Il team di fundraising ha identificato tre archetipi junghiani — il saggio, l’eroe, il ribelle — e ha addestrato GPT (sì, proprio un’intelligenza artificiale conversazionale) a scrivere email diverse in base a questi profili. L’obiettivo? Raggiungere i donatori con messaggi coerenti con il loro stile di relazione e coinvolgimento.

Il risultato? Un +10% nel tasso di apertura delle email. Ma soprattutto, la possibilità di uscire dalla comunicazione “standardizzata” e restituire umanità anche a una newsletter d’emergenza scritta in fretta.
«Sarebbe impossibile per noi inviare email personalizzate in poche ore senza il supporto dell’IA», racconta Greta Granzini, responsabile fundraising di Sos Mediterranee Italia.

AI, dati e cultura organizzativa: la strategia Dynamo Camp

Un approccio più strutturale arriva invece da Fondazione Dynamo Camp, che lavora con minori affetti da patologie gravi o croniche. Di fronte all’aumento delle donazioni da privati, la fondazione ha investito in data architecture, formazione e governance dell’innovazione.

Ogni area di lavoro ha ora un proprio GPT personalizzato, con output che confluiscono in un’intelligenza centrale dell’organizzazione.
Il fundraising, in particolare, ha beneficiato dell’integrazione tra IA e database per inviare messaggi profilati in base allo storico delle donazioni e alla sensibilità del singolo donatore.

Ma non è solo una questione di tecnologia. «La sfida che ci attende non è tanto nell’innovazione, ma nella governance: come la usiamo, come la guidiamo», spiega Mattia Dell’Era, Chief Digital Officer di Dynamo.

E non finisce qui: Dynamo sta anche formando i caregiver — familiari e professionisti — per utilizzare l’IA nelle interazioni con i beneficiari, adattando le risposte ai bisogni specifici dei minori.

Cosa ci insegnano questi esempi?

Queste due esperienze italiane ci mostrano che l’adozione dell’IA nel Terzo Settore è possibile, realistica e persino auspicabile, a patto che sia accompagnata da:

  • una strategia chiara
  • una segmentazione ben costruita
  • supervisione umana costante
  • attenzione ai temi etici e di trasparenza

In un’epoca in cui il fundraising richiede efficacia, velocità e fiducia, l’intelligenza artificiale può aiutare a rispondere meglio ai bisogni di chi dona e di chi riceve.
Ma non può — e non deve — sostituire le relazioni umane. Deve potenziarle.


Per approfondire:
L’intelligenza artificiale migliora la raccolta fondi – Il Sole 24 Ore

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