Il fundraising sta cambiando? Stiamo assistendo all'evoluzione digitale e a un passaggio di consegne tra mezzi e professionalità? E i donatori, sono sempre gli stessi?
Abbiamo fatto due chiacchiere con Elena Zanella, autrice di #DigitalFundraiser: La guida essenziale per chi fa raccolta fondi online, edito da Franco Angeli, per provare a chiarire qualche dubbio.
A chi è rivolto il manuale?
Digital Fundraiser è una guida nata per supportare il manager della raccolta fondi che, all’interno di un’organizzazione – non profit o ente pubblico – si occupa in particolare della raccolta di risorse, umane, strumentali o economiche, sul web.
Focus sul web, quindi. Come è cambiato il mondo del Fundraising rispetto a 10 anni fa?
Al di là degli strumenti di raccolta fondi, il fundraising è cambiato molto perché sta maturando la consapevolezza verso il ruolo che quest’attività ha nella complessità dei sistemi di sostenibilità delle organizzazioni non profit. L’autosostenibilità o l’intervento del pubblico nei sistemi di welfare non sono più sufficienti da tempo. In particolare, a partire proprio da una decina di anni fa: da quando abbiamo cominciato a vivere con più difficoltà il reperimento delle risorse, a cusa di una diminuzione delle disponibilità date dalla crisi globale.
Diventa dunque necessario attingere ad altre fonti. E per fare la differenza bisogna lavorare con costanza, pianificando adeguatamente. Aspettare gli eventi o agire nel breve non paga.
Lo stesso donatore è cambiato: è più cauto, non avendo molti soldi da donare, preferisce scegliere chi sa che può godere di fiducia. Inoltre, è più colto e più consapevole: punta molto sulla capacita delle organizzazioni nell'essere pratiche.
Quindi si può tracciare un profilo del donatore digitale?
Ribalto la domanda: esiste davvero un donatore digitale?
Il donatore digitale è colui che è già stato donatore. Semplicemente, conferma la sua scelta anche attraverso i mezzi online. Attualmente maturo e consapevole, sia dei propri mezzi che della sicurezza dei mezzi di transazione online. Il donatore online pesa per un massimo dell’8% sulla raccolta totale (fonte Blackboud). Insomma, siamo in crescita. E' il futuro.
Quali sono gli strumenti digital più utilizzati per la raccolta fondi?
Senza dubbio, il donatore in rete dona su piattaforma. Il crowdfunding penso sia il mezzo più amato e che gode di maggiore fiducia tra gli internauti. Ma va aumentando la fiducia verso i mezzi di transazione proposti dal digital. Secondo l’indagine Donare 3.0, voluta da PayPal - in collaborazione con Rete del Dono e curata da Doxa Duepuntozero -, circa l’83% dei naviganti italiani ha effettuato una donazione nell’ultimo anno. Gli Italiani sembrano quindi essere un popolo di donatori in rete. Altri strumenti, come landing page, format online, servono per l’attività più cruciale per il digital: quella di raccolta di dati di contatto, ovvero la lead generation.
E i social?
I social network svolgono un ruolo cruciale perché impattano in termini di costruzione, mantenimento, coltivazione e nutrimento delle community, a volte coincidenti e a volte diverse, ma comunque con linguaggi e modalità di interazione propri.
Il maggiore impatto sul fundraising, inteso come le attività e i comportamenti che favoriscono la sostenibilità di un’organizzazione nel lungo periodo, è dato dall’opportunità di intercettare, reclutare e gestire popolazioni potenzialmente infinite di donatori con costi tutto sommato contenut. Certamente, la differenza la fa la capacità del digital fundraiser di saper strutturare identità in rete e raccontare storie che il lettore riconosce come reali, e dunque degne di attenzione e fiducia.
L'Italia è al passo con gli altri Paesi?
Direi di sì. L’Italia e gli italiani che lavorano nel fundraising in modo professionale non hanno nulla da invidiare ai colleghi di altri Paesi. Più che altro, direi che il problema sta nel riconoscimento della professionalità che è ancora lontana d’essere riconosciuta tale.
Occorre lavorare in questo senso, ognuno facendo la sua parte. Io cerco di mettere il mio attraverso i miei libri, i miei interventi, i corsi che realizzo in proprio e in università e il coaching al fianco delle mie organizzazioni.
Siamo bravi e talentuosi, non ho dubbi in merito.
I metodi tradizionali, saranno destinati a scomparire?
Non credo affatto che i metodi tradizionali siano destinati a scomparire, nemmeno nel lungo periodo. Più che altro parlerei di integrazione. Vi sarà certamente maggiore equilibrio, dato da una maggiore fiducia dei mezzi digitali da parte di un donatore futuro, che ora è ancora in erba ma presto o tardi avrà potere d’acquisto e di dono. I libri spariranno? Mai, mi verrebbe da dire. È il dubbio emerso tempo fa per via dell’introduzione del Kindle. Ma no, non credo affatto che il fascino della carta e della tradizione verrà meno. Sarà solo un consumo diverso. Allo stesso modo, la tradizione resisterà anche nella raccolta fondi.
Come cambia la figura del fundraiser? Il digital apre a un cambio generazionale?
Parlerei di maggiore competenza, data da una maggiore professionalizzazione legata a una scolarizzazione di settore ben definita. Ciò è dovuto a una maggiore offerta formativa a diversi livelli, a disposizione di chi vuole provare a fare questo mestiere o decide di specializzarsi.
Non deve, però, venire meno il valore dell’esperienza. La scuola, i libri, di per sé sono necessari ma non sufficienti. La professionalità è qualcosa che ti viene riconosciuto da altri, non te la cuci addosso. Certo la qualità e la competizione andranno aumentando. Dobbiamo farci i conti ma va bene. Perché questo va a favore di una crescita del fundraising in termini di awareness oltre che a beneficio di tutto terzo settore.
Visto che stiamo parlando di fundraiser. Quali sono le caratteristiche più importanti per essere un buon digital fundraiser?
Competenze tecniche, curiosità, aggiornamento continuo e amore per le cause sociali. Come ho scritto nel primo capitolo: un conto è promuovere un negozio che si occupa di toelettatura per cani, un altro è parlare di benessere degli animali. Non è la stessa cosa.
Quindi, quali sono gli errori che non deve commettere?
Avere fretta di pubblicare, gestire in modo superficiale la community e non pianificare. Ma non solo, anche trascurare la misurazione dei risultati. Inoltre non deve pensare che il digital sia la soluzione di tutti i problemi di budget, perché è così. Ma credo, anzi sono convinta, che nessun digital fundraiser degno di questo nome scadrebbe in questi errori.
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