La disabilità nel ventunesimo secolo rappresenta ancora una grande barriera per l’inclusione e l’accesso, non solo a un adeguato stile di vita, ma anche a molti diritti umani fondamentali.
Le persone con disabilità, infatti, sono ancora fra quelle più marginalizzate e discriminate, sia nei paesi sviluppati, che in quelli sottosviluppati e molti bambini sono spesso privati di servizi di base che potrebbero consentire loro di accrescere le loro capacità e il loro potenziale umano, nonché di avere un’esistenza più serena ed appropriata.
“The African Report on Children with Disabilities” spiega che l’Africa è fra i paesi con il più alto numero di bambini disabili, a causa dei conflitti armati, della povertà e della mancanza di adeguati servizi sanitari (pre-natali, post parto e, quindi di prevenzione) e che, spesso i tassi di mortalità dei bimbi disabili è più elevato anche perché l’accesso alle cure sanitarie e riabilitative è molto ridotto, inflazionato dall’impossibilità di affrontare un viaggio per le famiglie che vivono in zone rurali, o lontane dall’ospedale.
I bimbi con disabilità hanno un accesso molto limitato alla socializzazione, all’istruzione (solo un bambino su dieci va a scuola) e all’assistenza sanitaria e fanno fronte, insieme alle loro famiglie, a discriminazioni e stigmatizzazioni derivanti soprattutto da credenze culturali, che porta numerosi genitori anche a non registrarne la nascita. In Etiopia circa il 70% e in Uganda il 50% di bambini disabili non vengono registrati, non hanno una nazionalità, ed è come se di fatto non esistessero, fattore che non offre la possibilità di accedere ai diritti umani fondamentali di cui ogni cittadino può godere.
L’attitudine negativa da parte dei genitori è sicuramente uno dei fattori più difficili su cui lavorare, in quanto può portare i familiari a chiudere il figlio fra le mura domestiche, o a ripudiarlo, spesso insieme alla mamma, o addirittura ad ucciderlo perché si crede che possa portare sfortuna alla famiglia e alla comunità di appartenenza.
Secondo i dati UNESCO, solo il 10% dei bambini con disabilità riceve un’educazione primaria e le cause principali di questa bassa percentuale sono barriere culturali, inaccessibilità nelle infrastrutture, mancanza di servizi adeguati e di formazione del personale scolastico che porta molti genitori a rivolgersi alle cosiddette “scuole speciali” che però chiedono una tassa aggiuntiva e sono lontane. Un bambino non istruito, sarà un adulto che difficilmente avrà una buona occupazione, un buono stato economico e sociale e riuscirà ad occuparsi del proprio stato di salute.
Nonostante la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, nel lontano 1948 sanciva il diritto all’istruzione per tutti, ribadito dalla Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia nel 1989 e dalla Convenzione per i diritti delle persone con disabilità nel 2006, siamo ancora molto lontani dal garantire i diritti umani per tutti.
Si stanno facendo degli sforzi e ci sono nuove strategie di sviluppo, parte dei piani e delle politiche locali, ma mi chiedo quanto le organizzazioni italiane, e in genere occidentali, focalizzino dei propri progetti di cooperazione internazionale su questa problematica. Nonostante la tematica dei bambini disabili faccia ancora molto poco “rumore” sicuramente il lavoro da fare è parecchio e non dubitiamo che ci siano molti sostenitori desiderosi di aiutare bambini i cui diritti sono di così difficile realizzazione.