Il rischio era concreto e tutt’altro che teorico. Una lettura rigida delle norme fiscali collegate alla riforma del Terzo Settore avrebbe potuto generare plusvalenze imponibili “automatiche” in capo agli enti, anche in assenza di vendite o reali operazioni economiche. Un corto circuito normativo che avrebbe colpito soprattutto associazioni e fondazioni con patrimonio immobiliare storico.
Il chiarimento arrivato nel 2024 dall’Agenzia delle Entrate ha evitato questo scenario. Il passaggio al nuovo regime fiscale previsto dal Codice del Terzo Settore non comporta, di per sé, l’emersione di plusvalenze tassabili. Un punto fermo che mette in sicurezza molti enti.
Da dove nasceva il problema
Il tema affonda le radici nel D.Lgs. 117/2017, il Codice del Terzo Settore, e nella sua attuazione progressiva. In particolare, il combinato disposto tra le norme civilistiche e fiscali sul patrimonio degli enti e le regole di accesso ai regimi agevolati aveva aperto un’area grigia.
Con l’avvio operativo del RUNTS nel novembre 2021 e il graduale ingresso degli enti nel nuovo perimetro, si è posta la questione del valore dei beni già presenti in bilancio. In assenza di chiarimenti ufficiali, il semplice riallineamento contabile o il cambio di qualifica fiscale avrebbe potuto essere interpretato come evento realizzativo ai fini delle imposte sui redditi.
In altre parole, il rischio era quello di tassare una plusvalenza “virtuale”, senza incasso e senza liquidità.
Il ruolo del nuovo decreto legislativo
Il quadro normativo si è rafforzato ulteriormente nel 2025, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del D.Lgs. 186/2025, che conferma l’operatività di alcune misure di rilievo per gli enti del Terzo Settore. Il decreto è pensato proprio per accompagnare l’impatto delle nuove regole fiscali e ridurne gli effetti distorsivi.
Tra le novità più rilevanti figura l’introduzione del nuovo articolo 79-bis nel D.Lgs. 117/2017, destinato a trovare piena attuazione nel 2026. Una disposizione che va nella direzione di una maggiore tutela degli Ets, chiarendo il trattamento fiscale di operazioni che non hanno natura speculativa e che non generano reale capacità contributiva.
Il chiarimento dell’Agenzia delle Entrate
La posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria, richiamata anche dalla stampa specializzata tra fine 2024 e inizio 2025, chiarisce che il passaggio al regime del Terzo Settore non costituisce, di per sé, un presupposto impositivo. Non c’è realizzo, non c’è plusvalenza tassabile.
Un chiarimento coerente con l’impianto del Codice, che distingue nettamente tra attività di interesse generale e attività di natura commerciale, e che riconosce la funzione strumentale del patrimonio degli Ets rispetto alle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Perché questo passaggio è decisivo
Se fosse passata un’interpretazione diversa, gli effetti sarebbero stati pesanti. Molti enti avrebbero dovuto far fronte a imposte su beni acquisiti decenni prima, spesso tramite donazioni o contributi pubblici, con valori storici ormai lontani da quelli attuali.
In un settore già impegnato, dal 2017 a oggi, in adeguamenti statutari, nuovi obblighi di bilancio e adempimenti fiscali più complessi, sarebbe stato un colpo difficilmente sostenibile.
Cosa devono fare oggi gli enti
Il rischio immediato è rientrato, ma il tema fiscale resta centrale. Gli enti dovrebbero comunque:
- verificare la corretta qualificazione dei beni
- tenere traccia del valore storico e della destinazione d’uso
- coordinarsi con consulenti che conoscano davvero il Codice del Terzo Settore
- evitare letture automatiche o semplificazioni eccessive
La riforma è entrata nel vivo solo negli ultimi anni e molte questioni interpretative sono ancora aperte.
Uno sguardo in avanti
Dal 2017 al 2026 il Terzo Settore sta attraversando una delle fasi di trasformazione più profonde della sua storia. L’introduzione dell’articolo 79-bis e il chiarimento sulle plusvalenze vanno nella direzione giusta, ma confermano un problema strutturale. Le certezze arrivano spesso tardi.
Se si vuole un Terzo Settore solido, programmabile e capace di investire, servono regole chiare prima, non dopo. Questo passaggio normativo lo rende evidente, senza bisogno di molti giri di parole.
