Volontariato: ecco perché, secondo noi, Gramellini ha torto

“Ha ragione chi pensa, dice o scrive che la giovane cooperante milanese rapita in Kenya da una banda di somali avrebbe potuto soddisfare le sue smanie d’altruismo in qualche mensa nostrana della Caritas, invece di andare a rischiare la pelle in un villaggio sperduto nel cuore della foresta. Ed è vero che la sua scelta avventata rischia di costare ai contribuenti italiani un corposo riscatto”.

Così Massimo Gramellini nella sua rubrica quotidiana Il Caffè, sul Corriere della Sera, lo scorso 22 novembre. L’argomento è il rapimento di Silvia Romano, la volontaria cooperante rapita in Kenya mentre svolgeva la sua attività. L’incipit dell’articolo, in realtà, più che una presa di posizione è un grottesco tentativo di difendere Silvia dalle critiche ricevute da più parti. E per questo è ancora più grave.

Perché grottesco? Perché Gramellini semplifica il concetto stesso di volontariato. E lo dimostra con questa frase: “L’energia pura, ingenua e un po’ folle che a quell’età ti spinge ad abbracciare il mondo intero, a volerlo conoscere e, soprattutto, a illuderti ancora di poterlo cambiare”. Insomma, il giornalista, armato di buone intenzioni, in poche righe sminuisce tutto ciò che rappresenta il volontariato e la cooperazione internazionale.

E lo fa anche nell’articolo del giorno successivo, dove prova – maldestramente – a difendere l’editoriale precedente: “qualche furbacchione aveva preso l’incipit della rubrica – dove riconoscevo la logica di alcune argomentazioni contro la cooperante per arrivare nelle righe successive a rovesciarle – e me lo aveva attribuito”.  In sintesi: non ha capito neanche dove ha sbagliato.

Noi l’articolo lo abbiamo letto tutto, non ci siamo fermati alle prime righe come sostiene Gramellini. E non siamo d’accordo.

Volgiamo spiegarvi le nostre motivazioni, cercando il più possibile, di tenere fuori la polemica.

Il volontariato non è una cosa da “giovani, sognatori, illusi di cambiare il mondo”

Al di là del tono paternalistico dell’articolo, che non ci è piaciuto, contestiamo il focus delle rivendicazioni di Gramellini. In Italia ci sono quasi 6 milioni di volontari, di questi 120 mila sono impegnati in missioni all’estero. Ciò smentisce la tesi secondo la quale Silvia avrebbe dovuto scegliere di fare la volontaria in Italia, al fine di evitare ai contribuenti nostrani di dover pagare un obolo per la sua ricerca o un eventuale riscatto.

Sono molte le motivazioni che spingono centinaia di giovani a intraprendere un percorso di volontariato all’estero. La prima, sicuramente, è la consapevolezza di abbracciare una causa che si ritiene giusta. Ridurre questa visione del mondo all’ingenuità giovanile, pronta a essere schiacciata dal cinismo dell’età adulta, non è solo riduttivo: è scorretto. Rispediamo al mittente, quindi, il paternalismo bonario di Massimo Gramellini: chi decide di partecipare a un progetto di cooperazione, non ha bisogno di lezioni di vita.

Il volontariato aiuta a trovare un lavoro

Che piaccia o meno, le organizzazioni non profit hanno bisogno dell’apporto di professionisti. E il volontariato è un ottimo modo per affacciarsi a questa realtà, imparare a conoscerla e capire se è la strada giusta da intraprendere.

Dal punto di vista economico, inoltre, il terzo settore contribuisce alla ricchezza del nostro Paese. In Italia, infatti, ci sono oltre 300 mila istituzioni non profit: oltre il 6% delle imprese del nostro Paese. Quasi un milione di lavoratori impiegati (il 4% del totale della forza lavoro in Italia). In termini di produzione di ricchezza, inoltre, è stimato che tali enti generino circa 70 miliardi di euro l’anno.

Insomma, quello dell’operatore del non profit – a prescindere dal ruolo e dalla qualifica – è una vera e propria occupazione e contribuisce a generare ricchezza. E se lo stato deve impiegare risorse per riportare a casa uno di loro è giusto che lo faccia, come accade per qualsiasi altro operatore economico, di qualsiasi settore (energetico, finanziario, industriale o commerciale).

Il volontariato migliora noi stessi

Scegliere di partire per un progetto all’estero, significa anche migliorare noi stessi. Oltre alle motivazioni prettamente umanitarie, svolgere un periodo in un Paese straniero permette ai volontari di migliorare le proprie soft skills, che torneranno utili in qualsiasi altro aspetto della vita, da quella personale a quella professionale.

Un volontario, ad esempio:

  • impara le lingue;
  • conosce culture diverse;
  • migliora la sua capacità di problem solving;
  • migliora il suo spirito d’adattamento.
  • affina le tecniche di collaborazione e lavoro di squadra;
  • impara a prendersi cura degli altri.

Conclusioni

Non crediamo che Massimo Gramellini abbia agito in cattiva fede. Tuttavia, siamo convinti che le sue tesi siano frutto di una conoscenza superficiale del volontariato, della cooperazione e del non profit nella sua totalità. Le sue parole mostrano una obsoleta divisione del mondo in scale di valori ormai superate, dove il non profit viene dopo il mondo corporate e dove il volontariato in Italia viene prima di quello all’estero.

Noi continuiamo a considerare tutti i volontari, a prescindere da progetti, delle risorse. E non smetteremo mai di ribadirlo.

3 Comments

  1. Stefi Rispondi

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