Il “Suspended coffee”: quando l’altruismo profuma di caffè

keep kalm“Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo”. Luciano De Crescenzo descrive così la tradizione partenopea del “caffè sospeso”.

Se però in Italia  questo rivoluzionario ed antico atto di civiltà sembra non aver preso troppo piede, il “caffè sospeso” sta conoscendo una nuova giovinezza all’estero. E se ne parla da Sidney a Praga, a Sofia, dove l’iniziativa si è meritata l’attenzione della France Press, che gli ha dedicato un reportage. Il fenomeno è presente anche su internet: su face book si chiama “Suspended Coffees”: la pagina Facebook conta più di 75.000 like (il sito è in costruzione), ed è la versione global di un gesto d’umanità all’italiana, vecchio di almeno cento anni.

A Goteborg, in Svezia Channa, la venitrenne proprietaria di Espressobaren racconta: «Siamo sempre stati dell’idea che un caffè non viene rifiutato a nessuno. Perciò quando i nostri clienti ci hanno segnalato l’idea del caffè sospeso ci siamo detti che dovevamo farlo.  Un caffè qui costa 20 corone, circa 2 euro. Finora le persone che hanno pagato un ‘caffè sospeso’ sono state molte di più delle persone che l’hanno chiesto.

Serve del tempo per far funzionare il passaparola, non solo tra i senza tetto o i più poveri», precisa Channa, «ma per tutti coloro che si sentono socialmente esclusi». Ma non è l’unico caso di diffusione del fenomeno all’estero: a marzo è giunta la notizia che in Bulgaria circa 150 tra caffè, ristoranti e fast food nella capitale Sofia si sono associati per incitare i clienti a offrire un caffè o un panino (talvolta a prezzo scontato) a un concittadino meno fortunato: in un’apposita vetrina viene raccolto il pane, già pagato dai clienti, da dare ai poveri.

Secondo alcuni piscologi quella che è diventata una vera e propria moda in Bulgaria, sarebbe da ricollegare al senso di solidarietà  che si è sviluppato tra la gente nel corso delle manifestazioni di massa nelle ultime settimane contro il carovita, l’arbitrio dei monopoli e la corruzione dell’oligarchia politica che tormentano il Paese. Ed in Francia ci ha pensato il movimento degli indignati a rilanciare questa pratica sulla sua pagina Facebook, ed alcuni  locali  hanno cominciato ad aderire all’iniziativa esponendo  il logo del “café en attente” sulla vetrina. E la best practice ha cominciato a diffondersi a macchia d’olio: a Brest, Amira Deverchere si è iscritta al sito coffeesharing.com e nel suo Kerlune Café attacca lo scontrino del caffè già pagato sulla vetrina, «in modo che una persona in difficoltà possa vederlo e quindi entri per chiederlo»; al Tam Tam Cafè di Qué-bec, in Canada, il gestore ha esposto vicino alla cassa una lavagna con le scritte “caffè”, “panino”, aggiungendo una croce ogni volta che un cliente ne paga uno “sospeso”, per rendere le cose facili.

caffe

Ogni Paese ha quindi iniziato a declinare il concetto di “caffè sospeso” secondo quella che è la propria tradizione culinaria, ed  in Belgio quindi non potevano mancare le patate fritte sospese. Al Fritkot (baracchino mobile) Bompa di Ixelles, a Bruxelles, Eric Duhamel vende una porzione di patatine in attesa: non la cuoce, dà al cliente un buono con il suo timbro ed una piantina per trovare la sua friggitoria.

«Chi vive per strada non ha Internet per trovare i caffè che aderiscono al caffè sospeso, e per i senza tetto non è facile entrare dentro un locale – spiega -Il mio baracchino sta sulla strada, non ha porte di ingresso, se un cliente compra una porzione in più poi può dare il buono al primo clochard che incontra». E la moda ha saputo incuriosire ed attirare anche catene come Starbucks o Costa Coffee che secondo rumors in Gran Bretagna starebbero valutando il progetto.

Il ritorno pubblicitario sarebbe notevole, assicurandosi un ottimo ritorno di immagine, ed in fondo pure quello commerciale : sono i clienti a pagare due volte, e per i locali si tratta semplicemente di vendere di più (tranne quelli che offrono prezzi scontati). Per questo motivo c’è chi si schiera contro, questa pratica che esportata e alla mercè delle multinazionali potrebbe trasformarsi in una “carità pelosa”, impersonale e distante: spendo qualche spicciolo contro la povertà e non devo parlare al povero.

Sarà solo il tempo a decretare le sorti e le evoluzioni del “suspended coffee”. A noi non resta che ribadire il bellissimo augurio di Thomas Stearns Eliot, ovvero quello di non misurare mai la propria vita a cucchiaini di caffè.

Alice Cannone

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