AidCoin, la criptovaluta per il digital fundraising del futuro

Avere la fiducia dei donatori è il primo obiettivo del fundraiser. E il rapporto fiduciario tra organizzazioni e donatori si cementifica con la trasparenza.

Ecco l’obiettivo dichiarato di AidChain, sinteticamente: una piattaforma per il fundraising, basata sull’AidCoin, che si candida a diventare la criptovaluta del non profit.

La piattaforma è sviluppata da CharityStars, sito online di aste di beneficenza, dove ci si può, contemporaneamente, aggiudicarsi un incontro con Lionel Messi e sostenere famiglie e minori in difficoltà. “La tecnologia sarà pronta a fine marzo e ci auguriamo che aderiranno più organizzazioni possibili”, ci ha raccontato Francesco Nazari Fusetti, CEO e fondatore.

La tecnologia portante è il blockchain: registro di tracciamento dei flussi di denaro crittografato. Per Fusetti una tecnologia “inalterabile e incorruttibile, sinonimo di trasperenza”

Gli abbiamo fatto qualche domanda, per capirne di più.

-Da dove nasce l’idea di AidChain e AidCoin?

Abbiamo cercato di coniugare la crescente attenzione dei media e del mondo finanziario nei confronti della blockchain, alla richiesta di trasparenza dei donatori.

La blockchain è una tecnologia che sta rivoluzionando moltissimi settori, dal brockeraggio, al mercato assicurativo. Ma ancora non ha coinvolto il mondo del non profit. Ecco, noi vogliamo arrivare proprio al Terzo settore.

-Come funzionerà il tracciamento del flusso delle proprie donazioni?

Dipende dal tipo di donazione. Se si tratta di donazioni in criptovaluta, verranno tracciate proprio da blockchain. Quindi saranno visibili proprio sulla piattaforma. È tutto molto facile e visibile, garantisco, anche per chi non ha dimestichezza.

Poi ci sono le donazioni, diciamo, più tradizionali come quelle effettuate in euro o dollari con carta di credito. Per questo tipo di donazioni offchain, il tracciamento avverrà con le API bancarie degli istituti ai quali le associazioni si appoggiano.

Quello del tracciamento è solo uno delle funzioni di AidChain. Ma senz’altro il più importante, perché tocca il tema della fiducia e della trasparenza. La mancanza di fiducia è uno dei principali motivi che allontana i donatori. La maggiore trasparenza, in questo senso, servirà a favorire le stesse associazioni.

Con questo non voglio dire che le organizzazioni non siano trasparenti. Anzi, spesso sono molto attente. Tuttavia crediamo che la tecnologia debba servire da supporto ai metodi tradizionali, come, ad esempio, il bilancio sociale pubblicato ogni 12 mesi.

Un altro strumento sarà quello degli Smart Contract. Le associazioni potranno mostrare in tempo reale lo stato del progetto finanziato con le donazioni. In che modo? Se non si dimostra la validità del progetto, parte del fondo sarà bloccato da un validatore esterno.

Facciamo un esempio. Se un’associazione ha promesso la realizzazione dei progetti educativi, il fondo verrà bloccato se non verranno stanziate un tot di borse di studio, come previsto dal bando.
La missione è fornire ulteriori garanzie di sicurezza per i donatori. E ciò sarà virtuoso per le associazioni stesse.

Francesco Nazari Fusetti

Francesco Nazari Fusetti

-Dove si userà la criptovaluta AidCoin?

AidCoin si potrà usare su CharityStars. Ma il nostro obiettivo è farlo diventare una moneta standard per tutto il mondo del fundraising. È uno dei nostri obiettivi nell’immediato futuro.

-Che tipo di investitori sta attirando l’Aidcoin?

Una buona parte di persone appassionate di blockchain, con una visione molto romantica. Si tratta di coloro che credono che questo sistema possa cambiare il mondo. A partire, ad esempio, dal voto online, trasparente, sicuro e senza brogli. Fino alla registrazione di cartelle cliniche con la cessione dei dati alla ricerca farmaceutica.
Molti di loro sono convinti che blockchain cambierà anche il mondo del Terzo settore.

-L’italia è pronta?

Sì lo è. Quando 4 anni fa andavamo dalle associazioni a raccontare il nostro progetto, inizialmente, c’era scetticismo. Ora la piattaforma è un punto di riferimento per le organizzazioni, che si sono dimostrate pronte a recepire il nostro messaggio. Mi auguro che lo siano sempre di più in futuro.

-Come valuti l’attenzione recente di media e operatori finanziari, intorno alle criptovalute?

È un settore che sta esplodendo. In poco meno di sei mesi ha superato, in termini di fundraising, il modello basato sul venture capital.

C’è poi una valenza sociale, al di là degli investimenti. E ha a che fare con la democratizzazione del sistema. Presto, non ci sarà più bisogno di operare, ad esempio, in Silicon Valley, per attrarre investitori. Ma lo si potrà fare ovunque: dall’Indonesia, all’Europa.

Vuol dire che il mondo crescerà, in termini di innovazione, a una velocità mai vista prima.

-C’è chi lo definisce una bolla finanziaria, cosa risponderesti agli scettici?

Facciamo una distinzione. Un conto sono le criptovalute, come ad esempio il Bitcoin. Un altro sono invece le tecnologie a supporto: la blockchain.

Dobbiamo concentrarci su questo aspetto. Nessuno ha dubbi, neanche le grandi banche di investimento. Si tratta di una tecnologia che cambierà il mondo delle economie moderne, così come le concepiamo oggi.

-Cosa dovranno recepire o adottare le charity (oggi in Italia ETS, che comprendono anche imprese sociali) in termini tecnologici per rispondere a tale trend per lo stato dei pagamenti?

La sfida vera è rendere semplice per le associazioni qualcosa che è ancora complicato. Vinceremo questa sfida quando riusciremo a trasmettere il messaggio che accettare donazioni in criptovalute sarà facile come integrare il tasto di PayPal all’interno delle piattaforme di donazione.

Man mano che andiamo avanti, spendere in criptovalute, sarà come utilizzare i metodi di pagamento tradizionali. L’utilizzo di questa tecnologia sarà sempre più semplice. Questa è la vera sfida: semplificare ciò che sembra difficile.

-Secondo te, le organizzazioni sono pronte a recepire l’approccio del 100% trasparenza sulle donazioni?

Sì, lo sono. Anzi, lo fanno già: conoscono l’importanza della trasparenza. Noi vogliamo dare in mano alle organizzazioni una sorta di bollino di qualità tecnologico. Ciò farà la differenza nello storytelling.

Un conto è raccontare come vengono spese le donazioni, un altro è quando è la stessa tecnologia a renderlo visibile a tutti. È quello che il donatore cerca.

-Come credi che dovrà cambiare la comunicazione verso i  donatori?

Non ho la presunzione di insegnare alle organizzazioni come comunicare con i propri donatori. Posso dire però che ci sono stati casi di comunicazione in negativo. Ad esempio, il caso sugli SMS solidali durante gli ultimi terremoti nel centro Italia.

Ciò contribuisce alla mancanza di fiducia e al calo delle donazioni.

Quello della corretta comunicazione è una questione culturale. E crediamo che, con l’aiuto della tecnologia, aumenterà il trust verso il non profit e ne gioveranno tutti.

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