Cosa ci dicono i dati sulla povertà in Italia

In Italia aumentano i poveri. Quasi tutti gli istituti di ricerca sono d’accordo su questo assunto.
Eppure, allo stesso tempo, però, i dati sull’occupazione sono ottimisti, registrando aumenti record rispetto agli ultimi 40 anni.

Come è possibile? Come possono aumentare, contemporaneamente, occupazione e povertà? Chi sono i poveri in Italia?

Proviamo a dare qualche, parziale, spiegazione.

Alcuni dati

Nel 2016 le persone in povertà assoluta sono state quasi 4 milioni e 800 mila (oltre un milione e mezzo di famiglie). A queste, si aggiungono le persone in cosiddetta povertà relativa: 8 milioni e 400 mila.

Per povertà assoluta, si intende una condizione di privazione all’accesso di beni primari: acqua, cibo, abitazione e indumenti. Con il termine povertà relativa, invece, si fa riferimento all’incapacità di accedere a determinati beni e servizi, in relazione al contesto economico in cui si vive. Ad esempio: accesso a internet, accesso all’istruzione universitaria, accesso alle cure mediche specialistiche, fruizione di attività ricreative.

Nel 2017 è, inoltre, stimato un aumento:la povertà assoluta riguarderebbe circa 5 milioni di individui. Si tratta dell’8,3% della popolazione: nel 2008 era il 3,9.

Ma chi sono questi nuovi poveri? Donne, minori e giovani della fascia di età 18-34. Mentre è in diminuzione tra gli anziani. Non solo disoccupati, però. Anzi, possiamo riassumere che si tratta di coloro che si sono affacciati solo recentemente al mercato del lavoro. Coloro i quali, cioè, hanno vissuto in prima persona il cambio di paradigma.

(dati Istat)

Cosa sono le soglie di misurazione della povertà?

Si tratta di valori minimi di reddito, al di sotto dei quali un individuo non può permettersi i beni di prima necessità per la sopravvivenza, sua e della sua famiglia. Nel dettaglio, per una persona nella fascia di età 18-59, questi valori sono:

  • 817,56 al mese (città metropolitana del Nord)
  • 733,09 al mese (piccoli comuni dell’area del Centro-Nord)
  • 554 al mese (Mezzogiorno)

Soglie mensili di povertà assoluta per alcune tipologie familiari (fonte: ISTAT)

Diminuiscono i redditi e aumentano le disuguaglianze

Una delle prime conclusioni è l’aumento delle persone che guadagnano al di sotto della soglia minima. Bankitalia, stima questa cifra a 830 euro mensili e registra che, nel 2016, una persona su 4 è al di sotto di questa soglia.

Leggiamo dal sito del Sole 24 Ore:

L’indagine di Bankitalia sui bilanci delle famiglie mostra che la quota di individui con un reddito equivalente inferiore al 60% di quello mediano è salita al massimo storico del 23% dal 19,6% del 2006.

Questo dato assume maggiore rilevanza, se confrontato con quello sulla disuguaglianza. Rispetto all’anno precedente, infatti, l’indice di Gini è allo 0.335.

L’indice di Gini è un coefficiente di calcolo sulla redistribuzione. Quando il valore è uguale a 0, si ha una condizione utopica in cui la redistribuzione è totale. Se il valore è 1, si ha la forbice massima di disuguaglianza tra ricchi è poveri. Si tratta, ovviamente, di casi limite non presenti in nessuna economia. Ma, per dare un’idea, il coefficiente dei Paesi Nordeuropei è di 0.2, mentre valori vicini allo 0.4 ci sono in Cina e negli Stati Uniti.

Tradotto in numeri, sempre dal Sole 24 Ore:

il 30% più ricco delle famiglie ha circa il 75% del patrimonio netto rilevato nel complesso, con una ricchezza netta media di 510.000 euro. Oltre il 40% di questa quota è detenuta dal 5% più ricco, che ha un patrimonio netto in media pari a 1,3 milioni di euro. Al 30% delle famiglie più povere invece l’1% della ricchezza.

Non c’è solo la crisi del reddito. A diminuire è anche la ricchezza media che, semplificando, possiamo definire l’insieme di beni e attività che generano il patrimonio complessivo delle famiglie: proprietà, risparmi, immobili, lasciti, oggetti di valore e attività finanziarie.

Sempre secondo Bankitalia, la ricchezza media, nel 2016, è diminuita del 5%. E, anche in questo caso, le disuguaglianze sono grandi. Nella maggior parte delle famiglie, appartenenti al decimo più povero, la quasi totalità della propria ricchezza risiede nei beni immobili. Tradotto: la casa di proprietà.

Per loro, il valore medio della propria abitazione è di 70 mila euro. Cifra che raggiunge gli 800 mila euro, per il decimo più ricco, ai quali vanno aggiunti un 20% di attività finanziarie: completamente assenti nella fetta più povera della nostra società.

Ancora una volta, dunque, la crisi del mercato immobiliare ha penalizzato le classi più povere.

(dati Bankitalia)

Conclusioni

Cosa significa, dunque, che gli italiani sono sempre più poveri? Cosa ci raccontano questi dati?

La prima grande considerazione è la diminuzione del reddito da lavoro. Nonostante una le cronache raccontino un incremento dell’occupazione, i dati sulla qualità della vita, forniscono uno scenario completamente diverso.

I dati Istat sull’occupazione, infatti, hanno registrato un aumento, assestandosi al 58,4%, il livello più alto dal 1977. Come si coniuga questo dato, con l’aumento della povertà? Proviamo a dare una risposta: significa che se aumenta il reddito da lavoro, diminuisce, contemporaneamente, il reddito del lavoro.

In altri termini, l’aumento della povertà, soprattutto tra i più giovani, dimostra un abbassamento della qualità del lavoro: precariato e stipendi più bassi. La condizione di povertà, quindi, non riguarda più solamente i disoccupati. In pratica, sta crescendo l’esercito dei sottoccupati.

Se aggreghiamo i numeri sulla povertà assoluta a quella relativa, inoltre, notiamo un’ampia area grigia di persone, che va, via via, impoverendosi. Tendenza, questa, confermata dall’aumento del coefficiente di Gini e della disuguaglianza. I ricchi aumentano il proprio patrimonio e, contemporaneamente, diminuiscono di numero.

La ricchezza è sempre di più concentrata nelle mani di pochi, a scapito di ampie fette di popolazione tagliate fuori, totalmente o parzialmente, dal circuito economico.

 

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